Eugenio Corti, lettera sul male

Eugenio Corti allievo ufficiale nel 1941Il grande scrittore recentemente scomparso illustra a un amico la teoria della “guerra come castigo” e sottolinea che Dio non può volere la violenza tra gli uomini: non la impedisce per lasciargli la totale libertà

Caro Giorgio,
mi chiedi di puntualizzare in merito alla «guerra castigo di Dio», per evitare che «qualcuno si scandalizzi». Secondo me le cose stanno come segue.

Primo: Dio (il Bene assoluto) non può volere la guerra (che è male), perché altrimenti non sa­rebbe più Dio, ma un qualsiasi essere in contraddizione con sé stesso. È soltanto l’uomo che può volere e ­ dentro certi limiti (molto ampi, purtroppo) ­ attua­re il male. Il castigo di Dio consiste ap­punto nel permettere all’uomo ­- che deliberatamente lo voglia ­- di procedere sulla via del male: cioè di allontanarsi sempre più da Lui (o, se preferisci, di met­tersi sempre più contro di Lui).

Perché lo permette? Perché vi è costretto. Altrimenti Egli dovrebbe snaturare l’uomo, che ha creato libero. La libertà più, specifica dell’uomo infatti – quella che supera tutte le altre, diversa dalla libertà degli ani­mali – è appunto la libertà di scegliere tra il bene e il male, ossia di mettersi con Dio o con­tro di Lui. Se Dio gli togliesse questa libertà, l’uomo cessereb­be di essere quello che è, per diventare una sorta di mezzo animale, visto che si diversifi­cherebbe dagli altri animali sol­tanto per il raziocinio.

Il ravvedimento
Secondo: Nel contempo dentro l’ordíne provvídenziale (“anche dal male il bene”) si verifica un fatto importantissimo: l’uomo, sperimentando i frutti sempre più terrificanti che il suo allon­tanamento da Dio produce, vie­ne con sempre maggior forza chiamato e stimolato, al ravvedi­mento (cioè al bene).

Terzo: Comunque Dio nel Suo amore – pur senza mai violenta­re la libertà umana – interviene in molti momenti determinanti della Storia: sia del singolo, che delle collettività, insomma nella Storia, al fine di aiutare gli uomi­ni, e di fare della storia una storia di salvezza. Gli uomini, anche i singoli, i più piccoli, hanno la possibilità («bussate e vi sarà aperto») di promuovere i Suoi in­terventi.

Sebbene intervenga, Dio non può tuttavia (ricordiamoci il punto Primo) impedire all’uo­mo, o ai gruppi di uomini, quan­do siano a ciò veramente deter­minati, di mettersi contro di Lui, e di escluderlo dalla loro vita dal loro mondo, ossia di scegliere il male. Dunque quegli anni Egli non poteva impedir loro di fare guerra, e di farla in quel modo.

Tutto ciò premesso, ti appari­rà chiaro che, anche mentre la guerra era in corso, Dio la guerra – cioè il male – seguitava a non volerla.

A questo punto tu potresti chiedermi perché allora nel dia­rio io parli di Dio in modo tale da dare l’impressione che sia Lui stesso a gestire direttamente il castigo.

Non ho di difficoltà a rispon­derti che, in chi sia abituato a sentire la presenza di Dio nella vita dell’uomo, questo spazio che Egli è costretto a concedere sul piano collettivo alla libertà malefica (= facitrice di male) umana, produce appunto quel­l’impressione. La produceva in me, e non solo in me. E io nel diario della ritirata ero tenuto a esporre fedelmente non sol­tanto i fatti, non soltanto i pen­sieri e i discorsi logici e no di noi coinvolti in quei fatti, ma anche le nostre impressioni e sensazioni, razionali o irrazionali che fossero.

Certo anche allora – cioè mentr’ero sotto i colpi e a caldo – io mi rendevo razionalmente conto che non era Dio a inflig­gerci di sua mano quelle soffe­renze e quelle morti, a mo’ di maestro che castighi con la bac­chetta il discolo. Se uno me l’avesse chiesto, gli avrei senza dubbio risposto che Egli si limi­tava – in quella circostanza – a non intervenire, e a lasciare che gli uomini (cioè i nazisti e i comunisti) realizzassero in libertà i loro barbari piani e disegni. Nello stesso tempo però co­s’avrei, cos’avremmo voluto?

Chi agisce?
Davanti a così insostenibili or­rori noi, anziché fare disquisi­zioni e ragionamenti, avremmo semplicemente voluto che Dio intervenisse, e impedisse, lì sul momento, all’uomo – anche a me… a tutti gli uomini coinvolti – di continuare a operare il male. Siccome non lo faceva, noi finivamo col vedere soltanto questo: che Egli non lo faceva. (Del resto, anche a guardare ra­zionalmente: quegli orrori non erano resi possibili appunto dal Suo mancato intervento, cioè dal suo “castigo”?).

Prima di chiudere, io dovrei introdurre qui un’altra compo­nente molto ma molto impor­tante del quadro (forse la com­ponente più importante di tutte: e verrebbe a costituire il punto quarto).

Come cioè Dio recuperi la sof­ferenza degli uomini, soprattut­to degli innocenti – crocifissi al pari di Cristo innocente – la qua­le sofferenza pertanto non va affatto sprecata (dunque quei morti non sono morti per nien­te. Ti rendi conto di quanto ciò sia importante?).

Ma la lettera s’è già fatta trop­po lunga.

Svilupperò meglio questi concetti nel romanzo al quale, come sai, sto lavorando da un certo tempo con tutta l’anima, che avrà probabilmente per tito­lo “I cavalli dell’Apocalisse”. (A proposito sbaglio o anche S. Gio­vanni, mentre passava per le sue visioni apocalittiche, ha speri­mentato impressioni analoghe alle nostre di quei giorni? A me sembra che nelle sue parole ne rimanga una traccia evidente… O non sei d’accordo?).

Con amicizia tuo
Eugenio
(30 ottobre 1973)

(09/04/14, L’Ordine)